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Un castagneto lungo la Via dei Lombardi, nei pressi di Sassalbo - © Foto di AlterEco

Protagonisti Enrico Mariani Martedì 24 luglio 2018

Lavorare per la lentezza

Lo sport come strumento di conoscenza del territorio, il camminare come arte del collegamento: recensione ad Appennino atto d’amore di Paolo Piacentini.

Partiamo dal mezzo: la ricerca di una lentezza interiore inconciliabile con la routine lavorativa. È questo il presupposto di Appennino atto d’amore, libro del camminatore Paolo Piacentini, un diario del viaggio fatto nel 2009 insieme all’amico Peppe lungo 900 km, dalle Cinque Terre alle “montagne di casa” dei Lucretili. La descrizione di un viaggio lento che procede nel libro a ritmo (quasi paradossalmente) serrato. Con persone e posti che appaiono, uno dietro l’altro, a tracciare le riflessioni e le impressioni più importanti. Per ogni luogo si affrontano il tema dell’abbandono e gli esempi virtuosi di ritorno e recupero delle tradizioni. La cornice narrativa resta sempre il camminare, arte del collegamento tra i viaggiatori, i luoghi e le storie. Essere «in cammino per ritrovarmi nella meravigliosa pienezza di un presente che è linfa vitale», dice l’autore. Una linfa che invece ha spinto me a ripercorrere questi luoghi mettendoli in relazione con quelli delle gare di trail organizzate dalla Uisp in Emilia-Romagna: un’altra forma di contatto con i luoghi, in cui lo sport diventa strumento di educazione al rapporto con il territorio. Per questo, leggendo questo libro sul camminare, l’analisi del suo libro viene accompagnata dalle immagini di queste corse in natura.

Generalizzando si potrebbe individuare nella lentezza una delle principali differenze tra la vita urbana e quella rurale. La mitizzazione del «lassù vivono ancora in un’altra epoca» rischia però di etichettare come arretrato tutto ciò che non rientra nei modelli di sviluppo condivisi, vincolandone il riscatto ad opere di modernizzazione che si pretendono giuste a priori. Invece in montagna servono «comunità consapevoli» e una nuova alleanza con le città, per stabilire un piano di ri-popolazione e ri-conoscimento della montagna negli equilibri del territorio. Non solo e non più, ricorda Piacentini, «il luogo del divertimento stagionale, del weekend mordi e fuggi, ma […] lo spazio geografico dove vivono comunità che custodiscono il ben più prezioso del nostro meraviglioso Paese, un bene che appartiene a tutti e che comprende risorse materiali e immateriali fondamentali per la nostra esistenza».

Per Piacentini, presidente Federtrek e consulente per i Cammini presso il MiBact, andare in montagna non è una fuga dalla città, ma la ricerca di una «nuova alleanza tra città e montagne». Un’esortazione anche per il lettore cittadino, cui l’autore ricorda di essere distante e al contempo vicino a chi abita questi luoghi remoti. Vale lo stesso per i trailer, che non trasferiscono semplicemente il loro correre dagli spazi urbani alla montagna, ma con essa creano una relazione, più profonda gara dopo gara. Così anche per Piacentini lo sguardo d’insieme del camminatore non si limita a registrare la preoccupante tendenza all’abbandono, ma propone delle vie di fuga, o meglio delle idee programmatiche: è necessario il ri-conoscimento di ruoli e valori tra pianure e terre alte, tramite cui affermare e valorizzare l’interdipendenza tra territori.

Il libro di Piacentini disegna legami tra storie appenniniche vicine e lontane. Cosa che per noi di FuoriArea è particolarmente stimolante, a partire dalle tappe che rientrano nell’Alta Via dei Parchi e da quelle che conosciamo per le attività del trail Uisp in Emilia-Romagna. La prima che incontriamo sul cammino è Sassalbo, sede del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, che viene raggiunta dal versante toscano della Lunigiana, dove si svolge il trail Fonti del Secchia. Il titolo di traversata più impegnativa spetta al Parco dell’Orecchiella, con soste a Casini di Corte e Montanaia per poi proseguire verso il Passo delle Radici, dove «le stagioni convivono nello spazio di pochi metri». Prima di affrontare l’Abetone, i due si fermano a Pievepelago (che ospita la Lago Santo Mountain Race) e poi proseguono incrociando la città d’arte Fiumalbo, ai piedi del Cimone. Ricordiamo la presenza, in queste zone, di due iniziative del camminare Uisp: la Marcia dei Tori e il Corno alle Scale Trail.


 

Paolo Piacentini
Appennino atto d’amore
Terre di mezzo editore
Milano, 2018 pp. 144 € 14,00

Gli “appunti di viaggio” di Piacentini sono integrati con delle note che riportano aggiornamenti o commenti recenti. Questa strategia narrativa ha due obiettivi: confrontare lo stato delle montagne a distanza di quasi un decennio; mettere in relazione il post-terremoto di L’Aquila (aprile 2009) con le conseguenze del sisma del centro-Italia (estate 2016). Il camminare è continuamente affermato come ricongiunzione con il presente: a partire dall’ambiente circostante l’autore avverte il riaffiorare di un contatto intimo smarrito nella vita cittadina. Durante il cammino si cambia muta. Per dirla con Franco Arminio è il corpo che torna a casa: «[…] siamo corpo che vive con gioia l’esperienza della fatica. […] I passi hanno modellato la mia anima più intima, arricchendola di emozioni e quindi di senso. […] Camminare ci rende nudi di fronte alla fragilità dell’esperienza umana. Le migliaia di passi possono predisporci a un ascolto che nella vita ordinaria non conosciamo».

Quando si parla di aree interne ci si confronta sempre con il processo di spopolamento: «la chiamano strategia dell’abbandono, io direi assenza di interesse». Per questo l’autore segnala ogni esempio di ritorno, in particolare dei giovani che, finiti gli studi, progettano il futuro in montagna. I pochi presidi montani incontrati sono ottime notizie, come a Regnano, dove «si produce e si vive il territorio secondo ritmi più umani». Ma basta salire fino ai prati in altura di Tea, verso l’Alta Garfagnana, e raggiungere la provincia di Lucca per incontrare un pastore sconsolato parlare di abbandono, anche culturale. È un processo che agisce su chi resta e i camminatori ne hanno dimostrazione quando, nei pressi di Castiglione dei Pepoli, chiedono ad alcuni locals consigli sul sentiero migliore da prendere. Non trovando risposte diverse da quelle già note: «Nessuno degli abitanti del paese ormai cammina più in montagna […]. Non c’è più quella conoscenza del luogo che voleva dire cura e sapienza».

Dopo un itinerario nei borghi tra Cutigliano, Pratile, Lizzano e Signano, si raggiunge Gavinana e poi Pracchia, nelle propaggini del pistoiese che guardano al Corno alle Scale. I viaggiatori entrano in Emilia-Romagna con il trenino Pistoia-Bologna, scendono al Ponte della Venturina e si inoltrano a Pavana, il «borgo di frontiera» di Francesco Guccini, formalmente toscano ma antropologicamente emiliano. È l’occasione per un approfondimento sul Parco dei laghi di Suviana e di Brasimone. Da qui l’obbiettivo è Castiglione dei Pepoli (Trail Salto del Cervo). In questa parte del viaggio l’itinerario si sviluppa tra il passo della Futa e il passo del Giogo, per arrivare al valico che collega il Mugello all’Emilia-Romagna. Poi il Passo del Muraglione e l’ingresso, emozionante, nel Parco delle Foreste Casentinesi, al quale arrivano dopo aver costeggiato il monte Falterona, famoso per le sorgenti dell’Arno cantate da Dante. Si prosegue per Camaldoli: in zona ci sono il trail della Campigna e il Trail dei due ponti a Portico di Romagna.

Poi è la volta del santuario francescano della Verna e del sentiero “Di qui passò Francesco”; poi Sansepolcro, Città di Castello, Gubbio, Assisi, Sellano, Norcia. Il cammino arriva nel cuore delle recenti faglie: occasione per parlare di chi sta già lavorando per il futuro dei territori colpiti dai terremoti del 2016 e della “Lunga marcia nelle terre mutate 2017”, iniziativa che vuole sensibilizzare cittadini e amministratori sull’importanza del coinvolgimento delle comunità locali nella ricostruzione. Si arriva nel Reatino con un tempo meraviglioso: «In soli quindici giorni abbiamo attraversato le quattro stagioni». Siamo nel Cicolano, terra natale dell’autore. Ultima tappa, Orvinio-Castel Madama, lungo la quale si incontrano i vecchi amici: «Abbiamo chiuso l’ennesimo cerchio della nostra lunga storia e altri ne apriremo».

Si ha l’impressione di essere stati accompagnati lungo un itinerario particolare, quello effettivamente percorso, lungo il quale è richiesta al lettore la disponibilità a deviazioni e divagazioni. Per questo Appennino atto d’amore è un itinerario di itinerari che preferisce dettare dei modi di percorrenza piuttosto che segnare percorsi fissi. Nell’epilogo l’autore rientra nei panni istituzionali e riflette sulle implicazioni dei modelli economici e sociali che hanno portato allo spopolamento delle aree interne. Il punto è la necessità di un piano di governance e di una strategia nazionale tramite cui ri-articolare la relazione, spesso sottovalutata, tra città e zone rurali.

 

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