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Protagonisti Lorenzo Bedussi Giovedì 8 febbraio 2018

Maglie verdi dalla curva al Parlamento

L’agonismo della Padania: il nuovo libro di Sergio Giuntini che svela come politica e sport si confondano spesso tra loro.

Giuntini è uno dei più esperti autori di storie sportive. Nel suo ultimo volume, L’agonismo della Padania (Sedizioni), rilegge trent’anni di giornalismo italiano, per avere una visione d’insieme che abbracci l’ascesa della Lega e la sua cultura sportiva. Con uno stile limpido, oggettivo e consequenziale, porta in primo piano i protagonisti e le dichiarazioni da questi rilasciate alla stampa. I presidenti delle federazioni sportive, i giornalisti, gli esponenti di partito, con le loro provocazioni, accuse, affermazioni e smentite, formano l’intreccio di relazioni nelle vicende trattate.

Vi furono due momenti in cui la Lega si impegnò nella creazione di una squadra padana di calcio: nel primo caso, attorno al 2000, lo fece con giocatori di eccellenza e promozione, mentre verso il 2008, grazie ad un intenso calcio mercato, schierò giocatori di serie A come Giuseppe Piovani, i fratelli Cossato e Maurizio Ganz. La prima formazione si distinse a livello locale, mentre i secondi ambivano ad una maggior visibilità. La Padania partecipò alla Viva World Cup, il campionato delle nazioni politicamente non riconosciute e vinse tre titoli consecutivi in questa competizione, schierando i suddetti fuoriclasse contro le nazionali Rom, Aramea e Lappone. In particolare la trasferta in Lapponia costò 100.000 euro per muovere la squadra e lo staff, una spesa che venne coperta con i rimborsi elettorali che lo Stato versa ai partiti.

Il primo aspetto toccato nel libro è l’ideale che la Lega nutre ai suoi albori, ossia la lotta per la creazione della Padania e la secessione dall’Italia. Dal momento che, prima d’allora, nessuno aveva mai sentito parlare della nazione padana, si rese necessario per la Lega inventare una tradizione, in grado di giustificare la propria visione politica. «La retorica leghista – si legge da pagina 47 – sviluppa una sorta di “feticismo delle origini”, dell’autoctonia, del primato naturale di sangue e suolo. Una “ossessione dell’identità”, vicina a molti pericolosi fondamentalismi. […] La “invenzione della Padania”, dell’homo padanus, si basa appunto su un tale assunto che non ha bisogno di essere verificato. Per il leghismo è così e basta. Vi si ripone fiducia per fede e fedeltà al capo, non per ragione».

Nell’amichevole del 3 gennaio 2013, i buu razzisti della curva del Pro Patria esasperano il milanista Boateng, che lascia il campo

Il razzismo nella Lega non è certo accidentale; è anzi frutto di una precisa concezione politica. Giuntini ricorda alcuni episodi salienti che possono far capire quali siano i risultati di questo tipo di mentalità. Nel maggio 2001 la squadra di calcio del Treviso è in zona retrocessione e la tifoseria razzista sfoga la propria frustrazione insultando e incolpando un giocatore nigeriano, Oluwashegun Omolade. Il resto della squadra, per restare vicina al proprio compagno, scende in campo con il volto tinto di nero. L’evento suscita l’ira del “sindaco-sceriffo” Gentilini, che si esprime con dure parole per punire questo gesto di solidarietà. Oppure il 3 gennaio 2013, in un’amichevole tra Busto Arsizio e Milan, quest’ultimo si ritirò dal campo al minuto 29, esasperato dai cori razzisti diretti verso Boateng. Uno dei sei inquisiti per quell’episodio di istigazione all’odio razziale era assessore a Corbetta, tra le file leghiste, con deleghe allo sport e alle politiche giovanili.

Una tradizione che deve essere corroborata con l’intervento di personaggi autorevoli. Il Carroccio trova il suo vate nel lombardo Gianni Brera che il giornale “la Padania”, organo di stampa del partito, presenta come leghista ante-litteram. Un’appropriazione del tutto indebita, in quanto gli exploit politici di Brera furono coi socialisti prima e coi radicali poi, ma che dimostra l’interesse dei leghisti ad appropriarsi del mondo calcistico, per alcune peculiarità condivise: «Il calcio, capace d’esaltare un’esasperata appartenenza a colori, simboli e a un moderno “sciovinismo” particolarista – si legge da pagina 56 – ha inoltre favorito la nascita di legami sinergici tra Lega Nord e tifo ultrà. […] I due mondi sono molto vicini da un punto di vista simbolico. Il leghismo – non diversamente dalla koinè degli stadi – è festoso, localista, interclassista, maschile e intollerante».

Dopo il caso Omolade e lo striscione razzista dei tifosi, la risposta dei calciatori del Treviso

Dopo il caso Omolade e lo striscione razzista dei tifosi, la risposta dei calciatori del Treviso

La copertina dell’ultimo libro di Sergio Giuntini, L’agonismo della PadaniaSi legge a p. 278 del libro L’agonismo della Padania: «[…] la prospettiva utopica del “separatismo sportivo” si compiva dunque con SportPadania. Costituito a Milano il 3 febbraio 1998, giuridicamente risulta infatti un Ente di promozione sportiva (Eps) riconosciuto a tutti gli effetti. […] SportPadania si poneva per scopo “la diffusione e promozione dello sport dilettantistico in ogni accezione […]”. I criteri per ottenere la credenziale Coni, in base al suo Statuto del 23 marzo 2000, erano piuttosto severi implicando una consistenza accertata di almeno 1.000 società aderenti, 100.000 iscritti e la presenza in 15 regioni e 70 provincie. Limiti assolutamente improponibili per SportPadania. Ecco allora che, per soddisfare delle esigenze settoriali di natura “federalista”, questo impianto venne mutato […] introducendovi un correttivo di tipo regionale. Modifica tale da ingenerare dei sospetti d’ordine politico».

Più avanti nella lettura incontriamo altri aspetti dello sport di matrice leghista, come i tentativi di allontanamento dal Coni, tramite i Giochi Padani o la fondazione dell’ente di promozione sportiva SportPadania. Le ostilità con il Coni ebbero termine solo con le manovre del 2002, quando il Comitato cambiò statuto e divenne una società per azioni dipendente dal Ministero dell’Economia, presieduto da Giulio Tremonti.

Il libro di Giuntini prosegue illustrando le snervanti battaglie politiche per ottenere le Olimpiadi nel nord Italia, nonostante gli scandali e gli sprechi di Torino 2006, culminati con il commissariamento per mafia del comune di Bardonecchia. Tutte operazioni volte a celebrare il settentrione, come il Giro di Padania (fortemente ostacolato da molti dei comuni in cui transitava, che lo percepivano come antagonista al Giro d’Italia) o la creazione della Nazionale padana di calcio.

Savona inclusa nel Giro di Padania: nei tafferugli, un poliziotto investito e un ciclista preso a schiaffi

Nel 2008 Varese viene scelta come sede per i campionati internazionali di ciclismo. Su sollecitazione di Bossi la manifestazione viene riconosciuta “grande evento”, affidandone la gestione alla Protezione civile di Bertolaso con deroghe e poteri speciali in merito alle autorizzazioni per i lavori. «Un ruolo nevralgico che portò persino al costo di 1.200.000 euro e ad asfaltare la pista in erba (e successivamente a rimuovere l’asfaltatura) dell’ippodromo varesino delle “Bettole”, sede di partenza e arrivo delle competizioni. Le spese a carico di Stato, Provincia e Regione – si legge a pagina 248 – lievitarono a 70.000.000 euro, la società organizzatrice “Varese 2008” accumulò 2.000.000 di deficit, e dal luglio 2009 la procura competente avviò un’indagine penale sulla costruzione di alcune strutture alberghiere fiorite nel clima emergenziale e straordinario della kermesse ciclistica».

La pista dell'ippodromo di Varese Le Bettole prima e dopo i lavori di asfaltatura per i Mondiali di ciclismo 2008

La pista dell’ippodromo di Varese “Le Bettole” prima e dopo
i lavori di asfaltatura per i Mondiali di ciclismo 2008

Seguace di Bossi dalla prima ora, Giuseppe Leoni, cofondatore della “Consulta cattolica leghista”, divenne presidente dell’Aero club italiano, ruolo che esercitò in modo controverso. Nel 1995, da senatore, ne propose lo scioglimento, giudicandolo un ente inutile. La sua opinione in seguito cambiò drasticamente, poiché prima accettò la nomina a commissario e successivamente ne venne eletto presidente. Sostenitore dell’autonomia e del localismo in politica, da presidente sportivo si impose con forza accentratrice sulle sezioni territoriali. Si intestardì per trasferire la scuola elicotteri da Lugo a Milano, nonostante la tradizione, causando la paralisi del settore. Seimila aviatori firmarono una petizione per rimuoverlo, ma il ministro Mattioli del IV governo Berlusconi lo confermò nell’incarico. Attingendo alle casse statali acquistò diciotto monoplani per l’Aero club e li fece battezzare con la nomenklatura del Carroccio: l’I-Noel (Leoni) lo dedicò a se stesso, a Bossi l’I-Umbe, a Maroni l’I-Rmar e a Calderoli l’I-Cald. Velivoli ad personam, verrebbe da dire.

Il lavoro di Giuntini è un contributo importante agli studi sportivi e politici sulla storia d’Italia, la cui attenzione è concentrata su un partito quasi trentennale, che utilizza linguaggi inaccettabili prima d’ora, per veicolare agli elettori messaggi pregni di risentimento. Al termine dell’intera trattazione si comprende come, nonostante la retorica demagogica contro i privilegi, la Lega abbia finito con il sostituire la vecchia classe dirigente continuando a perpetrare gli stessi abusi e gli stessi vizi.

 

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